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Skills – based organization: stato attuale e next steps

Quando parliamo di organizzazione skills-based, ci riferiamo ad un modello organizzativo che attribuisce maggiore centralità a skills e capacità, anziché a ruoli organizzativi e posizioni ricoperte (jobs).

Fino a questo momento, infatti, per organizzare il lavoro le strutture organizzative hanno fatto affidamento esclusivo sul costrutto dei ruoli (jobs), intesi come contenitori di responsabilità, abilità e competenze, che occupano una determinata casella dell’organigramma aziendale.

Un simile approccio, tuttavia, funzionava bene quando le organizzazioni agivano in un contesto perlopiù stabile e prevedibile, e quando la competizione si basava più sull’efficienza scalabile che sulla velocità, innovazione e agilità della struttura organizzativa.

Rispetto al tema dell’approccio skills-based, a livello internazionale sono ormai numerose le evidenze che indicano una chiara percezione della sua rilevanza strategica per il futuro, che spesso tuttavia convive con difficoltà di applicazione e implementazione su scala organizzativa.

Per citare solo alcuni esempi significativi, secondo il Talent Trends Report 2025 di Randstad, che ha intervistato più di mille HR leaders in 21 mercati del lavoro in EMEA, APAC e America, l’adozione di un approccio skills-first si colloca tra i 10 principali trend HR del 2025. Rispetto al campione considerato, il settore che risulta maggiormente coinvolto negli sforzi di adozione di un approccio skills-based è il settore Tech e IT (86%), seguito dal settore bancario (83%).

Una ricerca condotta da Deloitte nel 2023 su più di 1200 leader aziendali in 10 paesi rivela invece che il 98% di essi ritiene necessario il passaggio ad un modello skills-based, mentre il 90% delle organizzazioni ha già avviato sperimentazioni in tal senso.

Tuttavia, solo il 20% di esse applica il modello in modo esteso e ripetibile, segno che scalare queste iniziative all’intera organizzazione è ancora estremamente complesso.

In questo senso, le evidenze raccolte da Gartner lo scorso anno concordano nel rafforzare l’immagine di difficoltà delle organizzazioni nel tentativo di transitare verso un modello skills-based. Una survey condotta nel giugno 2024 su 190 responsabili delle risorse umane ha infatti rivelato come il 50% di essi sostiene che la propria organizzazione non sfrutti efficacemente il patrimonio di competenze, mentre il 62% ritiene che l’incertezza sulle competenze future rappresenti un rischio significativo.

Infine, dalla medesima survey emerge come solo l’8% delle organizzazioni disponga di dati affidabili sulle competenze della propria forza lavoro, e su quelle che hanno il maggiore impatto sul successo dell’impresa.

Anche nel tessuto produttivo del nostro paese cresce la consapevolezza dell’importanza strategica della transizione verso un approccio skills-based.

Come riporta Workday in un report recente dedicato a questo tema, l’85% dei leader italiani ritiene che adottare un approccio skill-based favorisca la crescita economica, migliorando la produttività, l’innovazione e l’agilità organizzativa, un dato anche superiore alla media globale (81%).

Tuttavia, nel nostro paese la transizione verso tale modello è ancora in fase emergente e le sperimentazioni in questo senso sono guidate esclusivamente da aziende multinazionali o grandi gruppi, come Unicredit, Novartis, Carrefour e SACE, che nel febbraio 2024 ha lanciato Career GPS, piattaforma sviluppata con Accenture che sfrutta l’IA generativa per mappare le competenze presenti e quelle richieste, fungendo da “navigatore” dei percorsi di carriera e favorendo l’internal mobility.

A livello di obiettivi, queste sperimentazioni hanno soprattutto finalità di re-skilling e strategic workforce planning, potenziamento della mobilità interna o efficientamento di alcuni processi HR, in particolare recruiting e Learning & Development.

Tuttavia, tali sperimentazioni rimangono perlopiù casi isolati, soprattutto se si restringe il campo a progettualità skills-based che coinvolgono esclusivamente (o in maniera prevalente) le hard skills (competenze tecnico-professionali).

Ma quali sono dunque le sfide e gli ostacoli principali connessi all’adozione di un modello compiutamente skills-based nel nostro tessuto produttivo?

Le sfide principali verso l’adozione di un modello organizzativo skills-based

n Italia la diffusione di modelli skills-based incontra specifiche sfide culturali e strutturali, tra le quali spiccano per rilevanza le seguenti:

  1. Difficoltà a maneggiare le hard skills (definizione, mappatura, manutenzione):

La difficoltà principale è senza dubbio rappresentata dalla gestione delle hard skills, caratterizzata da una rapida evoluzione e da un crescente livello di complessità.

Tali competenze, infatti, continuano a crescere di numero e proliferare a un ritmo elevato: il rapporto del 2024 “The Speed of Skill Change” di Lightcast,  data provider a livello globale per il mercato del lavoro, mostra che il 32% delle competenze richieste per un ruolo nel 2024 erano diverse rispetto al 2021, con i ruoli nel campo STEM in prima linea in questo cambiamento.

Per il 25% delle professioni più ricercate, l’entità del cambiamento è ancora più elevata: il 75% delle competenze richieste è cambiato.

Inoltre, per le organizzazioni che intendono costruire un modello delle competenze tecnico-professionali, tramite l’associazione ruoli-competenze, un’altra difficoltà è rappresentata dalla scelta del livello di dettaglio da adottare nella definizione di tali competenze.

Un livello di dettaglio troppo elevato può rendere il modello poco maneggevole e ingovernabile in termini di dimensioni, mentre un livello di dettaglio troppo basso potrebbe non fornire informazioni sufficienti per una gestione efficace skills-based del talento.

Trovare il giusto equilibrio su questo aspetto è dunque fondamentale quanto complicato.

A livello generale, secondo l’analista HR e speaker americano Josh Bersin, sono numerose le difficoltà connesse alla realizzazione di un modello delle competenze completo a livello organizzativo. Tra di esse figurano:

  • La difficoltà di strutturare l’architettura del modello, ovvero individuare un set di macrocategorie di competenze esauriente e funzionale alla mappatura, che deve dimostrarsi future-proof rispetto alle skills emergenti relative al mondo AI e nuove tecnologie.
  • La problematicità nella definizione e denominazione delle singole skills: all’interno di tale tassonomia, che corrisponde ad un enorme insieme di dati (decine di migliaia di competenze organizzate gerarchicamente) ogni formula o item è potenzialmente soggetto a dibattito. Si opterà per “collaborazione” o “teamwork”? “Java” o “programmazione java” o “linguaggio java”?
  • Le difficoltà di customizzare questi enormi dataset in base al settore di attività aziendale: ad esempio, le aziende energetiche hanno competenze di raffinazione, produzione e distribuzione, le aziende di prodotti di consumo hanno competenze di brand marketing, marketing del prodotto, le aziende farmaceutiche e chimiche hanno competenze scientifiche, e di produzione regolamentata, e così via.

Tuttavia, una volta definito il modello delle competenze, un’ulteriore sfida è rappresentata dalla necessità di verificare il livello di padronanza delle skills incluse nel modello, tramite il processo di mappatura, che pone ulteriori problematiche, relative alla scelta dei criteri di valutazione da impiegare, ai soggetti valutatori e alla frequenza con la quale effettuare la valutazione stessa.

A questo proposito, secondo la recente indagine già menzionata condotta da Workday, il 36% dei 100 business leader italiani intervistati segnala la presenza di strumenti inadeguati per la misurazione delle competenze come uno degli ostacoli principali verso l’adozione di un modello skills-based.

Tali opinioni sembrano confermate dalle evidenze raccolte quest’anno dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che nel suo ultimo report sulle sfide future dell’HR riporta come un’azienda su tre non effettui ancora un’analisi delle competenze necessarie a 3-5 anni e nemmeno l’assessment di quelle presenti. Un altro 35% la effettua invece solo in alcuni bacini di popolazione.

Inoltre, anche quando viene effettivamente svolta, soprattutto in aziende di grandi dimensioni e in settori altamente dinamici, il tempo richiesto per tale mappatura delle competenze rischia di consegnare una fotografia organizzativa non più aggiornata o corrispondente alla realtà.

Infine, la natura dinamica e in continua espansione delle hard skills rende assolutamente necessario operare una manutenzione e un aggiornamento continui del modello e della mappatura delle competenze.

Questi ultimi infatti, richiedono revisioni periodiche per assicurare una fotografia accurata e coerente con l’effettiva realtà dell’organizzazione. Ovviamente, sussiste anche il rischio che, tra un aggiornamento e l’altro, nuovi gap di competenze non vengano rilevati tempestivamente.

Purtroppo, il ritmo attuale cui procede l’obsolescenza delle competenze tecnico-professionali non sembra certamente agevolare il compito delle organizzazioni su questo fronte: secondo recenti analisi del World Economic Forum, l’emivita di una competenza, ovvero il tempo necessario affinché la sua rilevanza sul mercato si dimezzi, si è drasticamente ridotta negli ultimi 10 anni.

All’inizio del XXI secolo, il World Economic Forum stimava che una competenza tecnica mantenesse la metà del suo valore per 10-15 anni. Tuttavia, già nel 2017, lo stesso WEF ha rilevato che l’emivita per le competenze tecniche era scesa a 5 anni, e per quelle digitali a soli 2,5 anni.

Le stime attuali indicano che le competenze tecniche e digitali possono perdere la metà del loro valore in meno di 4 anni.

  1. Infrastrutture tecnologiche e strumenti a supporto della gestione delle competenze

Una seconda grande sfida connessa all’adozione di un approccio skills-based a livello organizzativo riguarda invece la mancanza di infrastrutture tecnologiche e strumenti adeguati a supportare una gestione dei talenti basata sulle competenze.

Tale difficoltà, che viene menzionata dal 30% dei business leaders italiani intervistati da Workday, viene amplificata dalla scelta, comune a molte delle organizzazioni che intraprendono sperimentazioni skills-based, di implementare tools AI-based (talvolta incorporati negli HCM aziendali) per la gestione delle competenze.

Come è evidente, infatti, il set-up di tali strumenti richiede uno sforzo organizzativo importante, che consiste nel garantire alcuni elementi fondamentali, tra i quali:

  • Potenza di calcolo e storage adeguati (server dedicati o cloud), per processare grandi quantità di dati destrutturati (curricula, job description) e far girare modelli complessi senza tempi di attesa eccessivi.
  • Piattaforme di data management (database scalabili, data lake sicuri) per raccogliere e conservare in un’unica fonte i dati sulle persone, consolidando in un unico repository (single source of truth) le informazioni sulle competenze provenienti da diversi sistemi (HRIS, sistemi di LMS/formazione, performance review, assessment esterni ecc.). In pratica, i dati sulle persone devono essere costantemente sincronizzati e puliti per alimentare gli algoritmi AI
  • Integrazione fra sistemi (HRIS, LMS, ERP, talent marketplace): in molte aziende esistono ancora sistemi obsoleti con API non compatibili. Superare queste barriere richiede progetti di integrazione complessi, test di interoperabilità e politiche di sicurezza molto rigide per la tutela dei dati personali. Senza un’infrastruttura iniziale solida, l’AI non può operare efficacemente.

In quest’ottica, colmare il gap infrastrutturale non è (solo) un progetto IT: è un investimento strategico essenziale per abilitare l’intero modello skills-based.

  1. Resistenza al cambiamento e necessità di up-skilling

Tuttavia, è sempre Workday a sottolineare come tecnologia da sola ovviamente non basti. La già citata ricerca del provider americano evidenzia che per transitare con successo verso un modello skills-based è necessario un cambiamento di mentalità, che comprenda una comunicazione chiara dei benefici, ritenuta necessaria dal 35% dei business leaders intervistati, e soprattutto una gestione efficace della trasformazione (55%) per favorire l’adozione organizzativa.

Inoltre, in organizzazioni con scarsa familiarità con strumenti AI-based o con i ritmi dell’innovazione tecnologica, l’adozione di un modello skills-based e dei relativi strumenti abilitanti può comportare necessità di up-skilling, tali da richiedere cicli importanti di formazione e aggiornamento continuo, oltre alla creazione di champions e sponsors interni.

La struttura demografica della forza lavoro italiana contribuisce ovviamente a tale necessità: una parte consistente della nostra popolazione lavorativa (il 75.6% della fascia 15-74 anni) è over 35, con quasi la metà tra 50 e 74 anni.

Soprattutto, si osserva che i livelli di competenze digitali tendono a diminuire a partire dalla fascia d’età 35-44 anni, il che può rappresentare un ostacolo non trascurabile per l’adozione organizzativa efficace di eventuali strumenti AI-based a supporto della gestione delle competenze.

Infine, c’è un ultimo aspetto da sottolineare: per effettuare la mappatura delle competenze, proprio tali sistemi di AI inferiscono solitamente skills e relativi livelli dai documenti inerenti (CVs, certificazioni, ecc.) caricati dai collaboratori.

Nella maggior parte dei casi, il profilo di competenze viene proposto al collaboratore, che sceglie di validarlo oppure modificarlo.

In ogni caso, tale enfasi e centralità sull’employee, incoraggiata e assai diffusa nel contesto anglosassone, può rappresentare un ostacolo per l’adozione in contesti culturali fortemente gerarchici o meno abituati a tale centralità, come quello italiano.

Skills-based organization: i benefici principali

Tuttavia, al di là delle sfide connesse ad una sua adozione completa a livello organizzativo, è importante sottolineare allo stesso modo i principali benefici connessi ad un approccio skills-based, sia a livello organizzativo che per la forza lavoro interessata.

Complessivamente, a livello organizzativo l’adozione di un approccio skills-based sembra essere collegata ad un aumento di probabilità nel raggiungimento degli obiettivi di business, oltre a diverse metriche positive in termini di capacità di retention, talent management (allocazione dei talenti), equità nell’accesso alle opportunità di sviluppo, capacità di innovazione e ampliamento del talent pool.

È questo che emerge da diverse ricerche e report internazionali condotte sul tema, tra cui il già citato studio di Deloitte, che ha coinvolto più di 1.000 lavoratori e circa 220 dirigenti aziendali e HR a livello globale.

Nello specifico, lo studio rileva che le aziende che adottano un approccio skills-based sono fino al 107% più efficaci nel placement dei talenti, colmando efficacemente uno dei limiti principali dell’attuale approccio alla gestione del talento e delle competenze.

Di conseguenza sono fino al 98% più efficaci nel trattenere i migliori talenti e 63% più capaci di raggiungere gli obiettivi di business, se confrontate con le organizzazioni che non hanno adottato un approccio skills-based (cfr. figura 1).

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Figura 1 I benefici a livello organizzativo di un approccio skills-based, in:

Cantrell, Sue, Robin Jones, Michael Griffiths, e Julie Hiipakka. “The Skills-Based Organization: A New Operating Model for Work and the Workforce.” Deloitte Insights. Deloitte Development LLC, 8 settembre 2023.

L’approccio skills-based applicato alla gestione del talento sembra inoltre essere alla base di un incremento dell’equità nell’accesso alle opportunità di carriera.

L’80% dei dirigenti aziendali intervistati da Deloitte afferma che prendere decisioni su assunzioni, retribuzioni e promozioni basandosi sulle competenze delle persone, piuttosto che sulla loro storia lavorativa, anzianità nel ruolo o network, contribuirebbe a ridurre i pregiudizi e a migliorare l’equità.

Inoltre, il 75% ritiene che assumere, promuovere e assegnare le persone ai team di progetto in base alle competenze (anziché all’anzianità o alla storia professionale) possa contribuire a democratizzare le opportunità e migliorarne l’accesso.

Complessivamente, l’adozione efficace di un approccio skills-based, oltre a condurre ai benefici appena descritti, può portare a una maggiore realizzazione del potenziale di abilità e competenze della propria forza lavoro, aumentando il ritorno sul capitale umano e la probabilità di innovazione delle organizzazioni del 52%.

Infine, rispetto al tema dell’ampliamento del talent pool, è McKinsey a confermare in un recente studio come l’approccio skills-based applicato al processo di sourcing e selezione sia collegato alla costruzione di una forza lavoro più inclusiva rispetto a quella che è possibile ottenere con l’approccio tradizionale, andando a favorire direttamente i cosiddetti lavoratori STARs (Skilled Through Alternative Routes).

Infatti, le pratiche skills-based applicate nella fase di sourcing e hiring possono aiutare le aziende a trovare e attrarre un bacino più ampio di talenti, con candidati più adatti a ricoprire queste posizioni nel lungo periodo, rimuovendo le “barriere in entrata” (degrees e job titles) come requisiti necessari per l’invio di un application.

Rispetto ai benefici per le persone, diverse ricerche hanno dimostrato una correlazione tra l’adozione di un modello skills-based e l’incremento dei livelli di engagement e benessere organizzativo.

Tale è il risultato che emerge dall’ultimo report pubblicato dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che sottolinea come nelle organizzazioni che stanno sperimentando un approccio skills-based la % di lavoratori che dichiara di stare bene in azienda salga dal 10% del campione al 18%, mentre la quota di lavoratori pienamente coinvolti e motivati cresca dal 17% al 42%.

Alla base di tale incremento vi è sicuramente la potenzialità di questo approccio di generare nuove opportunità di carriera e crescita professionale.

Grazie allo skills-based approach, infatti, la carriera interna può trasformarsi, attraverso un maggiore (e migliore) sfruttamento della mobilità orizzontale, ampliando le possibilità di crescita rispetto alla sola crescita verticale, tramite la creazione di un “career playground” all’interno del quale i dipendenti possono muoversi in base ai propri interessi e competenze. In generale, la gestione per competenze può ampliare il ventaglio di possibilità di carriera interne (compresi ruoli temporanei o progetti interfunzionali), rispondendo al desiderio dei lavoratori di evolversi continuamente, incentivando una mobilità orizzontale più dinamica.

A questo punto, rimane da chiedersi quali siano le risposte che il mercato delle soluzioni di skills management e skills intelligence ha elaborato nel tentativo di supportare le organizzazioni verso l’adozione di un modello organizzativo basato sulle competenze.

Skills-based organization: le soluzioni sul mercato

Di fronte alle sfide appena descritte, i principali fornitori di sistemi informativi aziendali e di soluzioni di skills intelligence stanno sviluppando piattaforme specializzate o integrate nei sistemi HCM, che sfruttano l’Intelligenza Artificiale per facilitare la transizione verso un approccio basato sulle competenze.

A seconda del grado di integrazione, tale approccio “AI-based” prevede l’utilizzo di piattaforme alimentate da sistemi di AI (tramite inferenza automatica, machine learning o recommending systems) per automatizzare i compiti di definizione del modello delle competenze dell’organizzazione, mappatura dei livelli di competenze o anche definizione dei percorsi di sviluppo e assegnazione a progetti, nell’ambito di eventuali talent marketplaces interni collegati alle piattaforme.

Questo approccio, incarnato da grandi players che agiscono a livello globale, come Workday Skills Cloud, Eightfold AI o Gloat, si basa assai spesso sulla consultazione di enormi database proprietari, nei quali talvolta confluiscono le informazioni sulle skills che ciascuna azienda cliente immette, e che restano a disposizione di tutti gli altri utilizzatori della piattaforma.

L’AI dunque, combinando l’analisi di curricula, esperienze lavorative precedenti e performances dei dipendenti con la conoscenza contenuta nei database, che si aggiornano dinamicamente, inferisce automaticamente il profilo di competenze di ogni dipendente, senza necessità di una validazione da parte del management dell’organizzazione.

Inoltre, a seconda dei casi e delle soluzioni considerate, tale approccio può comportare la raccolta di dati dall’osservazione di annunci di lavoro del settore, report, o dati di mercato, che alimentano a loro volta l’aggiornamento dinamico del catalogo di competenze associato ai ruoli.

In base alla complessità della soluzione adottata a livello organizzativo, le piattaforme AI-based per la gestione delle competenze possono essere collegate tramite integrazione ai sistemi LMS aziendali, proponendo dunque all’utente di aggiungere al proprio profilo determinate competenze, in base ai corsi effettuati, o evidenziando la necessità di acquisirne di ulteriori, in linea con il percorso di sviluppo di ciascuno.

Come si evince chiaramente, elemento distintivo di queste soluzioni è l’adozione di un modello fortemente centralizzato di inferenza e validazione delle competenze associate ai ruoli, con relativi livelli di padronanza, che lascia spazi di manovra (e di decisione) assai ristretti al management di prossimità.

Tale modello si fonda sull’utilizzo delle ontologie delle competenze, che si aggiornano dinamicamente, definendo le relazioni tra le diverse competenze e il loro contesto all’interno del business.

Inoltre, attraverso l’analisi costante di annunci di lavoro, report di settore e pubblicazioni accademiche, tali sistemi possono intercettare nuove competenze emergenti prima che diventino di largo utilizzo.

Questo permette di includerle fin da subito nel framework aziendale, garantendo che il modello di competenze resti costantemente allineato alle evoluzioni del mercato.

Questa capacità di aggiornamento in tempo reale e di comprensione delle relazioni tra le competenze (ad esempio, le relazioni skill-to-skill e skill-to-role) rappresenta dunque una possibile risposta alle sfide connesse alla definizione del modello e della mappatura delle competenze, come anche dell’obsolescenza delle competenze tecnico-professionali, discusse in precedenza.

Rispetto al tema della proliferazione delle hard skills e delle diverse nomenclature utilizzate all’interno delle organizzazioni, le piattaforme di skills intelligence affrontano questo problema attraverso sistemi avanzati per la gestione di sinonimi, duplicati e la normalizzazione dei dati.

Ad esempio, Workday Skills Cloud è progettato per gestire facilmente sinonimi e duplicati, fornendo aggiornamenti automatici che riducono ridondanze e incoerenze linguistiche.

Analogamente, Degreed Skills+ normalizza le tassonomie provenienti dall’ecosistema tecnologico aziendale, pulendo i duplicati, allineando i sinonimi e persino generando descrizioni e definizioni di livelli di competenza che riflettono il linguaggio specifico dell’organizzazione.

Conclusioni: un approccio diverso per la transizione skills-based?

Le piattaforme di gestione delle competenze AI-based dei principali vendors internazionali si candidano dunque per accelerare il passaggio delle organizzazioni verso un modello skills-based.

Come ampiamente raccontato, la loro offerta poggia su piattaforme AI-based e ontologie di competenze alimentate da enormi data-lake: un sistema centralizzato che inferisce, aggiorna e valida pressoché in autonomia il modello e la mappatura delle skill, lasciando al management un ruolo di fruizione della piattaforma.

È certamente una risposta potente alle problematiche di proliferazione, complessità e rapidità di obsolescenza delle hard skills.

Nondimeno, rischia di pagare il prezzo di un forte scollamento dal contesto culturale e strategico dell’organizzazione.

Come società di consulenza HR fortemente attiva sul tema, che abbiamo esplorato anche in una recente survey, partiamo da una convinzione diversa: l’AI è un catalizzatore potente, ma una simile transizione non può prescindere dalla capacità del middle management di affinare, contestualizzare e tenere vivo il modello di competenze e la mappatura, insieme alla loro manutenzione continua.

Per questo, stiamo lavorando su un approccio alternativo per agevolare la transizione verso un modello skills-based, che non esclude il ricorso all’Intelligenza Artificiale, ma è costruito attorno al coinvolgimento attivo di leadership e management per la definizione, mappatura e aggiornamento delle competenze tecnico-professionali, con un occhio di riguardo per le competenze critiche.

Ne daremo presto maggiori dettagli: vi invitiamo a monitorare i prossimi aggiornamenti per saperne di più sulla nostra proposta.

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