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La Behavioural Economics per il cambiamento continuo: un workshop HRI sul futuro del change management

Nel post-Covid, il cambiamento costante sembra essere la nuova normalità per le organizzazioni a livello globale. La pandemia ha accelerato dinamiche di trasformazione che hanno reso il cambiamento non più un evento eccezionale, ma una condizione strutturale e permanente che è essenziale imparare a navigare.

Quanto sono ancora efficaci i modelli di change management attualmente esistenti nel nuovo contesto di cambiamento continuo in cui siamo immersi? Possiamo ancora fare affidamento su di loro per la futura gestione del cambiamento organizzativo?

Per rispondere a questa domanda, nel corso del mese di aprile abbiamo lanciato una survey rivolta ai professionisti HR della nostra community che si sono distinti per la capacità di guidare il cambiamento attraverso progetti innovativi e ad alto impatto.

Ecco la nostra esperienza e i principali insights emersi.

Lo stato attuale del change management: la Survey HRI

La survey ha ottenuto complessivamente 46 risposte, per un totale di 40 organizzazioni rappresentate, in gran parte realtà strutturate di dimensioni medio-grandi e grandi.

La survey si articolava in due sezioni, finalizzate ad indagare rispettivamente:

  1. Il modello di Change Management prevalente adottato dalle organizzazioni rispondenti, attraverso l’indagine di alcune pratiche e aspetti chiave della gestione del cambiamento organizzativo, come la chiarezza del cambiamento atteso, il ruolo del management, l’engagement delle persone, le attività di misurazione e rinforzo dei comportamenti.
  1. La tipologia di contesto organizzativo all’interno della quale avviene la gestione del cambiamento.

Nello specifico, abbiamo distinto tre diverse tipologie di contesti organizzativi, che descrivono una traiettoria di maturazione rispetto al modello di leadership, allo stile decisionale prevalente e alle modalità e strumenti con cui il cambiamento viene gestito all’interno dell’organizzazione:

  • Contesto Leader Centric: Contesto organizzativo caratterizzato da una forte centralizzazione delle decisioni, con uno stile direzionale basato su ruoli e gerarchie ben definite. La guida dell’organizzazione è fortemente improntata alla visione e all’orientamento strategico dell’imprenditore o del vertice.
  • Contesto People Centric: Contesto organizzativo con una struttura manageriale consolidata, in cui le decisioni sono condivise tra i diversi livelli di leadership. Il vertice ha un’impronta gestionale e promuove il coinvolgimento attivo dei manager nel processo di cambiamento.
  • Contesto Organization Centric: Contesto organizzativo dinamico e flessibile, in cui le scelte vengono indirizzate anche attraverso elementi sistemici (processi, strumenti, cultura). I manager operano all’interno di un framework condiviso, con un ruolo attivo nella creazione di senso e nell’orientamento del cambiamento.

Rispetto a quest’ultimo punto, dai risultati della survey emerge una netta prevalenza di organizzazioni che si dichiarano Leader Centric (più della metà del campione), mentre il contesto People Centric viene indicato da circa un terzo dei rispondenti.

Come è evidente, si tratta di un’istantanea pienamente in linea con il tessuto produttivo del nostro paese, caratterizzato da una lunga «tradizione» di contesti organizzativi di stampo imprenditoriale, che ancora oggi rappresentano il modello prevalente. Al contrario, le risposte alla survey evidenziano come il contesto Organization Centric risulti assai poco diffuso nel nostro panorama organizzativo (cfr. Figura 1).

A livello generale, dalla survey emerge un chiaro riconoscimento della rilevanza strategica del change management, che si accompagna tuttavia a bassi livelli di efficacia percepita delle proprie pratiche di change.

In particolare, il 91% dei rispondenti riconosce al change management un’elevata rilevanza strategica, ma solo il 40% percepisce realmente efficaci modelli e pratiche attualmente in uso. Questo gap segnala una dissonanza tra consapevolezza e capacità di azione progettuale, evidenziando la necessità di modelli più efficaci e adatti ai nuovi livelli di complessità dell’attuale contesto di cambiamento continuo.

Un ulteriore insight emerso riguarda la correlazione tra efficacia percepita delle pratiche di change management, e misurazione strutturata dei risultati.

In media, una percezione di maggiore efficacia delle proprie pratiche di gestione del cambiamento si accompagna ad una misurazione più strutturata e consapevole dei risultati, basata prevalentemente su KPIs operativi (e.g. partecipazione a iniziative di formazione e comunicazione, n° di iniziative portate a termine, etc).

Solo una piccola parte tra i rispondenti (13%) si spingono a misurare anche i cosiddetti Key Behavioural Indicators, per monitorare l’effettiva adozione dei comportamenti attesi dal cambiamento.

Infine, confrontando i modelli di change management che emergono dalle risposte dei partecipanti con le tipologie di contesti organizzativi dichiarati (Leader, People, Organization Centric), emergono due punti fondamentali:

  • I contesti Leader Centric tendono ad adottare pratiche e modelli di change coerenti con il proprio contesto di riferimento in misura maggiore dei contesti People Centric.
  • Tuttavia, i rispondenti appartenenti a contesti Leader Centric riportano una percezione di efficacia delle proprie pratiche di change inferiore alla media dei rispondenti. Al contrario, i contesti People Centric registrano livelli di efficacia percepita decisamente superiori.

Un simile quadro di analisi può essere compreso chiamando in causa una crisi che sta interessando gli approcci top-down alla gestione del cambiamento (Leader Centric). Questi ultimi, nell’attuale situazione post-pandemica, non sembrano in grado di rispondere alle richieste di maggiore coinvolgimento attivo di stakeholder e destinatari del cambiamento, né di stare al passo con la complessità delle trasformazioni da attuare, rivelandosi dunque sempre meno efficaci agli occhi delle organizzazioni.

Le evidenze indicano dunque che, per affrontare efficacemente il cambiamento continuo, anche le organizzazioni di stampo imprenditoriale dovranno orientarsi necessariamente verso approcci People Centric, capaci di attivare le persone come protagoniste del cambiamento, valorizzando il coinvolgimento attivo, la co-progettazione delle soluzioni e l’attenzione ai benefici individuali connessi al cambiamento.

Un workshop HRI sul futuro del change management

Per discutere questi risultati e condividere le nostre riflessioni sul futuro della gestione del cambiamento organizzativo, mercoledì 21 maggio abbiamo tenuto un workshop di condivisione, che si è rivelato per molti degli HR partecipanti un’occasione preziosa di confronto su un tema quantomai strategico.

Coerentemente con alcuni dei risultati emersi dalla survey, diversi tra i partecipanti hanno sottolineato l’importanza di evitare l’utilizzo di framework predefiniti per il change management, considerando invece la tipologia di contesto organizzativo come un elemento fondamentale per la scelta del modello di change.

In particolare, dalla discussione è emerso come alcuni fattori, tra cui i trascorsi organizzativi, inclusi eventuali passaggi di proprietà, ma anche la sola la presenza di generazioni diverse in azienda, possano influenzare pesantemente la percezione e il modo di rapportarsi al cambiamento, imponendo riflessioni sul modello da adottare.

Un altro tema riportato da più voci riguarda la capacità di persuadere i business leaders della rilevanza strategica di applicare un modello di change management strutturato e coerente, considerata da molti una delle sfide principali della funzione HR connessa al cambiamento organizzativo.

Sempre in quest’ottica, il racconto di altre esperienze ha fatto emergere come la creazione del desiderio e della spinta verso il cambiamento rappresenti talvolta la difficoltà più importante da affrontare per la funzione Risorse Umane, considerata anche più ardua rispetto alla gestione stessa del processo di change.

Infine, sempre in relazione al cambiamento è stato sollevato il tema della cultura dell’errore e del rapporto con il fallimento, che troppo spesso porta alla ricerca di colpevoli e responsabili, invece di favorire la ricerca di soluzioni alternative, sulla base di un approccio di adattamento e miglioramento continuo.

Un atteggiamento, quest’ultimo, imprescindibile secondo molti dei partecipanti per individuare il modello di change management più funzionale al contesto di riferimento.

La Behavioural Economics nel change management: un approccio alternativo alla gestione del cambiamento

A valle di questo prezioso scambio di esperienze organizzative sul tema del change management, abbiamo fornito una prima risposta alla domanda che ha animato la nostra ricerca, sottolineando la difficoltà dei modelli esistenti di change management di fronte al cambiamento continuo, e proponendo gli elementi fondamentali di un approccio alternativo alla gestione del cambiamento, che innesta nei modelli esistenti elementi di Behavioural Economics.

A livello generale, l’economia comportamentale offre strumenti preziosi per comprendere come elementi spesso trascurati dai modelli tradizionali, come bias, dinamiche sociali e contesto organizzativo di riferimento, influenzino la risposta delle persone al cambiamento.

Introdurre questi strumenti nei processi di change management consente di progettare iniziative di cambiamento più aderenti alla realtà organizzativa.

Per ragioni di complessità, durante il workshop ci siamo concentrati  soprattutto sugli interventi basati sul concetto di «spinta gentile» o  «nudge».

È bene precisare, tuttavia, come essi rappresentino solo una piccola parte dello spettro di strumenti oggetto di studio della Behavioural Economics, che comprende anche metodologie e leve normative e motivazionali, per influenzare il comportamento in modo sistemico e avvicinarsi progressivamente ad un approccio scientifico alla gestione del cambiamento.

Nello specifico, il nostro approccio parte da una considerazione semplice quanto generativa: nel tentativo di facilitare il cambiamento, attualmente le organizzazioni si focalizzano esclusivamente sull’enfatizzare le conseguenze (positive e vantaggiose) di tale cambiamento, senza preoccuparsi di creare le condizioni ambientali e di contesto per favorire l’effettiva adozione dei comportamenti desiderati.

Al contrario, l’innesto degli strumenti concettuali della Behavioural Economics all’interno dei modelli di change management consente di creare, attraverso un’architettura delle scelte, proprio quelle condizioni di contesto utili a favorire determinati tipi di comportamenti, senza necessariamente passare attraverso la creazione di motivazione individuale o collettiva per il cambiamento.

In sintesi, il nostro approccio prevede l’integrazione di 4 elementi fondamentali nel modello di change utilizzato dall’organizzazione:

1. La comprensione del contesto di riferimento, tramite strumenti di analisi provenienti sia dall’ambito della Behavioural Economics, sia dalla prassi consulenziale tradizionale

2. La definizione chiara dei comportamenti obiettivo che si desidera ottenere dal cambiamento

3. La progettazione dell’architettura delle scelte, ovvero la creazione delle situazioni e dei contesti più adeguati affinché le persone si comportino con maggiore probabilità secondo gli schemi desiderati, facilitandone l’adozione sul lungo termine.

4. La definizione di Key Behavioural Indicators (quali tipologie di comportamenti devono cambiare, in quali modalità e tempi) per valutare l’efficacia della propria iniziativa di change management

In altre parole, di fronte alle evidenti difficoltà palesate dai modelli esistenti nella gestione del cambiamento continuo, la nostra proposta vuol essere un cambio radicale di paradigma nel change management: anziché agire esclusivamente a livello della consapevolezza della necessità del cambiamento e del senso di urgenza collegato, possiamo agire sul contesto organizzativo per facilitare l’adozione dei comportamenti desiderati.

Conclusioni: una leva potente per il cambiamento organizzativo

La nostra proposta ha innescato diverse riflessioni di valore tra i partecipanti al workshop, che ci hanno confermato la presenza di spazi di azione importanti per l’applicazione dell’economia comportamentale in ambito organizzativo, a supporto della gestione del cambiamento.

In particolare, alcuni tra i presenti hanno sottolineato la possibilità offerta da questo approccio di ottenere un maggiore controllo puntuale sull’andamento dell’iniziativa di change, essenzialmente tramite la progettazione dell’architettura delle scelte.

Inoltre, è stata ricordata la sua versatilità di applicazione per diverse tipologie di processi di gestione del cambiamento, tra cui l’ambito di assoluta rilevanza strategica della digital adoption.

In definitiva, le parole dei partecipanti ci confermano che è arrivato il momento di ripensare profondamente il modo in cui affrontiamo il cambiamento.

La complessità crescente dei contesti organizzativi e la velocità stessa del cambiamento richiedono approcci più dinamici, flessibili e centrati sulle reali leve che guidano il comportamento umano.

In quest’ottica, Integrare la Behavioural Economics nel change management non è solo un’evoluzione metodologica, ma una scelta di futuro: significa costruire sapientemente ambienti e contesti in cui le persone siano naturalmente portate ad adottare comportamenti funzionali al cambiamento, scegliendo un approccio più «umano» e sistemico, che può fare la differenza tra adesione e resistenza al cambiamento, generazione di valore e fallimento.

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